Il film di Barbie (2023) sta riscuotendo un sorprendente successo. Solo nel primo weekend ha incassato più di $300 mln in tutto il mondo.
Ad alzare di molto le aspettative su questo film è stata proprio la regista, Greta Gerwig, dichiarata femminista e autrice di altri celebri film basati sulla tematica femminile: Lady Bird (2017) e Little Women (2019).
Il primo riconoscimento che va dato alla regista è proprio quello di aver riuscito in un’impresa non facile: quella di creare un film leggero, rivolto ai bambini, pur affrontando una tematica complessa che riguarda anche il mondo degli adulti: il rapporto tra l’uomo e la donna.
Certo, a tratti il femminismo predicato dal film risulta essere quello banale e mainstream ostentato dai media e dall’industria culturale. Del resto lo schema complessivo è piuttosto semplice: gli uomini, che nel mondo reale occupano la maggior parte delle posizioni di potere, instaurano il patriarcato per nascondere la loro insicurezza, dovuta alla paura di non essere accettati. Per questo Ken (Ryan Gosling), frustrato dal non essere corrisposto da Barbie (Margot Robbie), trasforma Barbieland in un paradiso del maschilismo tossico. Ma è approfittando della fragilità maschile che le donne si organizzano ricostruendo a Barbieland la supremazia delle Barbie sui vari Ken.
Questo schema generale esclude quindi l’elemento centrale, l’unico che permette di capire l’origine dello squilibrio di potere tra uomo e donna nella nostra società: la lotta di classe, l’elemento economico-sociale. È per questo che la narrazione femminista del film rischia di risultare banale e riduttiva. Ma è pur sempre un film Hollywoodiano.
Dietro questa patina di semplificazioni si nascondono però tematiche interessanti che vale la pena di evidenziare. Ad esempio il dramma che affligge la Barbie protagonista. Lei infatti, a differenza di tutte le altre Barbie, non ha un’identità propria ma rappresenta uno stereotipo, un modello che improvvisamente si dimostra vuoto e privo di contenuto reale. Scoprendo di non avere uno scopo nella vita (a differenza delle altre, Barbie cuoca, Barbie Astronauta, Barbie scrittrice ecc.), Barbie stereotipo vive un dramma esistenziale che la porta a viaggiare verso il mondo reale. Si vede costretta a cercare una propria identità al di fuori degli schemi che le altre sono costrette a seguire. Ciò permette al pubblico di immedesimarsi in Barbie non come un modello inarrivabile di bellezza estetica (cosa di cui la Barbie giocattolo era stata accusata dalle femministe in passato), ma come modello di autodeterminazione e libertà da schemi predeterminati.
Che questo sviluppo sia davvero emancipativo lo si stabilirà altrove. Intanto si può apprezzare non solo il livello di maggiore complessità rispetto al modo in cui queste tematiche vengono trattate altrove (si pensi al pinkwashing della Disney di questi anni), ma anche l’ironia del film, che più di una volta riesce a strappare una sincera risata.
È un film leggero, appunto, capace di divertire e intrattenere, ma quasi mai con banalità. E anzi la regista ha dimostrato grande maturità sapendo ironizzare su tutto, anche sulla propria stessa narrazione.
E ciò lo rende un prodotto di gran lunga superiore a molti film simili.